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La rappresentazione dell'industria: Interni di fabbrica a Lecco
di Barbara Cattaneo
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Il ciclo Interni di fabbrica di Alessandro Papetti nasce nel 1992 quando la Galleria Bellinzona di Lecco contatta il pittore milanese per proporre il soggetto dell'archeologia industriale e della fabbrica più in generale, attiva e dismessa, nel territorio lecchese.

L'artista dopo una serie di sopralluoghi a varie ditte della zona – Oasa, Trafilerie di San Giovanni, Cartiere Cima, Caldara di Caslino d'Erba, Ferriere Cima, Caleotto, Complar di Veduggio – e attraverso fotografie e testi realizzati da chi scrive – La valle del Gerenzone – accetta il progetto producendo una serie di opere di grande formato. Al termine di questo lavoro, durato circa tre anni, la Galleria Bellinzona propone ai Musei civici di Lecco di realizzare una mostra negli spazi espositivi di Villa Manzoni. Ed ecco nel 1996 la mostra Interni di fabbrica.

«Nella pittura contemporanea , anche in quella figurativa, la rappresentazione della fabbrica, con quello che ha comportato e che comporta per la nostra società, risulta un tema assolutamente desueto e per lo più assente. Possiamo citare alcune eccezioni: Fernando Farulli, che negli anni sessanta - settanta dipinse un ampio nucleo di immagini di fabbriche di forte impatto emotivo o opere isolate e occasionali all’interno, per esempio, della produzione di Arduino Cantafora (Quindici stanze per una casa: fronte est, 1982), di Paola Galdolfi (Sottopassaggio di via Ostiense, 1990), di Guido Somaré (Paesaggio con fabbriche, 1991) e di Raffaele Bueno (Porto di Livorno, 1989). […]

Il folto gruppo di opere che il pittore milanese Alessandro Papetti dipinge tra il 1992 e il 1996, rappresenta un evento unico nel quadro dell’arte contemporanea, nell’approccio al tema dell’industria, al momento del suo declino: il processo di deindustrializzazione, che ha investito il nostro paese dalla metà degli anni ottanta, trova nelle tele di Papetti la sua rappresentazione. Non più l’ottimismo sette-ottocentesco, né la descrizione di spazi vivi di uomini e macchine, o la celebrazione della fatica e del lavoro, o l’adesione alle lotte politiche del dopoguerra. Grandi spazi grigi, vuoti di persone e di voci, nel silenzioso abbandono di una civiltà in decomposizione, campiscono vaste superfici pittoriche, quali memoria del nostro più recente passato, non ancora trascorso. […] Nel vuoto di memoria che si è venuto inevitabilmente a creare tra ciò che era prima e il presente, si collocano gli Interni di fabbrica […] unici simboli interpretativi di un momento storico non certo chiaro: la transizione tra la fine dell’era industriale e l’inizio dell’epoca post-industriale» (da B. Cattaneo, L’arte e la rappresentazione dell’industria, in Alessandro Papetti. Interni di fabbrica 1993-1996, catalogo a cura di Mario Pancera, Galleria Bellinzona, 1996, Milano).

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di Geno Pampaloni
(da Civiltà delle macchine, II, 1953)
 
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