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P. Rugafiori, Rockefeller d'Italia. Gerolamo Gaslini imprenditore e filantropo, Roma, Donzelli editore, 2009, pp. 214, € 28
recensione di Francesco Samorè

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Gaslini, il miliardario che non possiede più nulla: così «La Stampa» del 21 gennaio 1951 intitolò il servizio sulla figura di un imprenditore generalmente poco frequentato dal giornalismo coevo e anche meno dalla successiva storiografia; lacuna colmata dall'uscita di questo volume firmato da Paride Rugafiori. L'improvvisa «ribalta» mediatica originava da una torsione, un'anomalia che vedeva l'uomo d'impresa trascendere i confini tradizionali dell'azione capitalistica per divenire «il più grande benefattore italiano»: Trenta miliardi di dote per la sua bambina morta, titolava «La settimana Incom illustrata» il 27 gennaio 1951. L'intero, notevole patrimonio di Gerolamo Gaslini stava passando in quei giorni alla Fondazione costituita per finanziare il grande complesso pediatrico intitolato dal nostro alla figlia Giannina (scomparsa bambina, nel 1917, per una peritonite non diagnosticata) e inaugurato a Genova nel 1938. È appunto all'Ospedale e alla sua missione di cura, ricerca e tutela della salute infantile che si deve la fama internazionale cui oggi è associato il nome di Gaslini, del quale era invece sostanzialmente sconosciuta l'azione – attraverso lo strumento del gruppo conglomerale – nel settore alimentare (la produzione olearia in primis ma anche dolciaria), creditizio (la banca Belinzaghi, notissima in ambiente finanziario) e chimico (i saponifici).
Eppure la particolare «torsione» cui abbiamo fatto cenno attiene proprio al nesso tra l'agire economico – cifra del Gaslini che fu monocraticamente al comando, per quasi quarant'anni, del suo grappolo di aziende – e la creazione strategica di una realtà fino ad allora inedita in Italia, quale l'ente di diritto pubblico, fondazione d'impresa e holding con fini sociali il cui statuto fu approvato dal presidente della Repubblica il 9 aprile 1951, dopo lunghe trattative tra donatore e Governo circa il trattamento fiscale.
Nell'atto di donare, in vita, tutto il proprio patrimonio (circa 4 miliardi 542 milioni di lire al valore dell'epoca) Gaslini concepì dunque il meccanismo attraverso il quale l'Istituto pediatrico si sarebbe sostentato attraverso la Fondazione holding, ovvero tramite i profitti generati dal gruppo di imprese che egli aveva creato o acquisito fin dall'inizio della sua carriera all'alba del Novecento. Insieme ai denari si trasferivano i criteri manageriali, sottolinea Rugafiori; che peraltro ricostruisce dettagliatamente il funzionamento del gruppo, senza omettere la discrepanza sistematica tra utili effettivi e utili dichiarati a bilancio nel periodo tra le due guerre, né gli scambi di favori con Mussolini o i finanziamenti al fascismo da parte dell'imprenditore (il quale però seppe «scegliersi la parte» per tempo, tenendosi lontano da tedeschi e repubblichini e sostenendo la Resistenza). È probabilmente per queste ragioni che la Fondazione Gaslini, all'inizio committente della ricerca, non ha poi dato il suo consenso alla pubblicazione, cui si è infine giunti per risoluzione dell'autore e dell'editore; né devono aver giovato alle sorti del libro le documentate rievocazioni dell'altalenante rapporto tra il credente Gaslini (l'impronta religiosa fu sancita nello statuto dell'Istituto ospedaliero) e la Chiesa, rappresentata dall'allora arcivescovo di Genova e poi cardinale Siri, intenzionato ad assicurare alle gerarchie cattoliche la futura presidenza della Fondazione (così come avverrà, per volontà testamentaria di Gaslini, dopo la scomparsa della figlia Germana nel 1988).
Innovazione e creatività, disegno strategico che vede l'uomo d'impresa progettare istituzioni – l'Istituto, la Fondazione – con lo scopo di «governare le risorse in funzione di precisi obiettivi non profit»Nota: questa vicenda e lo sforzo interpretativo di Rugafiori contengono tutti gli spunti per alimentare la riflessione teorica e storica intorno alla figura dell'imprenditore, liberandola dagli idealtipi e dalla vulgata che – in nome di una presunta razionalità – ne attribuisce le volizioni alla sola spinta egoistica e materiale della massimizzazione del profitto. La storia fa la sua parte, intervenendo sui precari equilibri faticosamente raggiunti dalle azioni dell'uomo: ecco che il Gaslini self-made man, graniticamente convinto della necessità di concepire anzitutto le giuste strategie («non ho studiato ma so fare tutto […] se faccio un programma vado fino in fondo»Nota), ci sembra essere stato, suo malgrado, artefice e protagonista di un «travaso» di capacità strategiche. Mentre l'Istituto per l'infanzia – grazie alla collaborazione della Facoltà di medicina dell'Università di Genova – si sviluppò negli anni cinquanta e sessanta con diverse nuove cliniche, nuclei di ricerca, reparti, fino a divenire il centro di primissimo livello a tutti noto, all'opposto l'oleificio Gaslini e la maggior parte delle altre imprese componenti il gruppo arretrarono pesantemente, proprio negli anni in cui il boom portava in Italia la crescita dei redditi e dei consumi. È forse un'interpretazione eccessivamente schematica (e del resto lo stesso Rugafiori evita di esprimersi in questi termini) ma l'impressione del lettore è che, dopo lo sforzo creativo di compiuto per giungere alla Fondazione – che vide Gaslini animato da obiettivi etici, intimi e non profit –, il nostro non abbia saputo tenere il resto delle sue attività al passo che i tempi avrebbero richiesto. In questo, certo, non fu solo: il libro lo sottolinea ricordando come molti altri imprenditori alimentari non abbiano dato sufficiente attenzione all'esigenza di un adeguato collegamento col sistema distributivo, ad esempio dotandosi di "etichette" proprie o investendo in pubblicità; e furono in molti a resistere a un decentramento delle responsabilità nel governo delle imprese e ad una razionalizzazione organizzativa che implicasse la formalizzazione dei compiti e degli organigrammi. Ma tutto questo sembra perdere di importanza, almeno agli occhi dell'ormai anziano Gaslini che moltiplicava i richiami a fare pulizia nei conti aziendali, esplicitando la motivazione: non bisognava mettere in difficoltà la Fondazione non profit, che deteneva i pacchetti azionari delle altre società del gruppo.
Il volume di Rugafiori ha avuto felici recensioni, anche sulla stampa a larga diffusione, ed è stato presentato in occasione di partecipati dibattiti pubbliciNota. Ciò ha forse potuto ricompensare l'autore (docente di Storia contemporanea all'Università di Torino) per le traversìe che hanno rallentato la pubblicazione, condotta in prima istanza sul ricco archivio Gaslini – oggetto di riordino e inventariazione da parte della Fondazione Ansaldo – e proseguita su numerose altre fonti archivistiche e bibliografiche. È sorprendente il fatto che continuino ad aprirsi – per merito degli studiosi e degli istituti che ordinano e rendono disponibili archivi aziendali e carte personali di imprenditori – nuove finestre sulla storia del XX secolo (si pensi per esempio agli originali risultati raggiunti da Villari nella biografia di Oscar Sinigaglia; o al volume su Giannino Bassetti curato da Roberta Garruccio e Germano Maifreda; o ancora alla ricostruzione biografica, in corso di pubblicazione, sull'imprenditore e fondatore del Museo della Scienza e della Tecnica, Guido Ucelli). E incoraggia la constatazione che sempre più si diradano le troppo rigide partizioni disciplinari e metodologiche nel campo delle scienze umanistiche.

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