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M. Granata, Roberto Tremelloni. Riformismo e sviluppo economico, Milano-Soveria Mannelli, Centro per la cultura d'impresa-Rubbettino Editore, 2010, pp. 502, € 28.
recensione di Daniele Pozzi

 
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Frequentando in anni passati l'Archivio Roberto Tremelloni, depositato presso il Ciriec (centro di ricerca da lui fondato nel 1956, oggi a Sesto San Giovanni), mi è capitato spesso di domandarmi come mai una raccolta documentaria così ampia, varia e relativamente ben ordinata non fosse letteralmente presa d'assalto dagli studiosi di area milanese impegnati in ricerche in ambito storico economico e politico. Il libro di Granata non chiarisce del tutto il mio dubbio ma ha sicuramente due meriti ben più importanti: quello di valorizzare finalmente la documentazione personale di Tremelloni e quello di richiamare l'attenzione sull'importanza di una figura che è stata cruciale negli anni di costruzione dello stato repubblicano, ma che resta tuttavia relativamente in ombra nella storiografia.
L'autore sottolinea infatti come Tremelloni sia stato vittima di un processo di rimozione simile a quello che – potremmo osservare – continua a interessare o ha interessato fino ad anni recenti altri protagonisti “anomali” della vita politica ed economica italiana, come Cesare Merzagora o Ernesto Rossi. I social-liberisti, anche se nel caso si Tremelloni sarebbe più appropriato parlare di liberal-socialista, vengono infatti spesso citati come utopisti che associano al grande rigore morale e all'impegno personale per un processo di riforma del paese, l'incapacità di capire la logica dei partiti di massa negli anni della guerra fredda, ponendosi, in un certo modo, al di fuori della storia.
Il libro di Granata sottolinea invece come Tremelloni – lungi da essere una figura donchisciottesca, avulsa dalla concretezza del divenire storico – sia in realtà un personaggio costantemente immerso nel proprio tempo, ma in grado di interpretarlo attraverso schemi di lettura personali e spesso molto originali. L'analisi minuziosa degli scritti e delle carte personali di Tremelloni da parte di questo studioso – autore giovane ma con già una ricca produzione scientifica alle spalle – diventa quindi lo strumento più indicato per cogliere appieno lo spessore del suo pensiero e della sua azione.
La narrazione biografica tocca tutti i momenti più salienti della vicenda pubblica e privata di Tremelloni (1900-1987), a partire dalle sue modeste origini, alla formazione nella Milano della Belle Époque, alla partecipazione alla Prima guerra mondiale e alla successiva maturazione politica nell’ambito del social-riformismo di stampo turatiano. La maggior parte del volume è ovviamente dedicata agli anni della maturità di Tremelloni, esaminando prima la sua attività giornalistico-economica poi, dopo la caduta del fascismo, il suo ruolo politico nelle istituzioni della ricostruzione, nelle grandi inchieste parlamentari da lui promosse, come ministro e nell’ambito del progetto di creazione di una forza socialdemocratica promosso da Giuseppe Saragat. Granata non dimentica che Tremelloni fu anche uomo d'azienda – dando adeguato spazio, ad esempio, alla decennale presidenza dell'azienda elettrica municipalizzata di Milano, Aem –, inoltre, la scelta di basare la ricerca soprattutto su carte personali, permette di gettare una luce anche sulle riflessioni che, ormai ritiratosi a vita privata, Tremelloni dedicava alla realtà italiana nell'ultimo quindicennio della propria vita.
Anche una semplice elencazione dei temi presenti nel volume permette di capire come esso, oltre che una biografica, sia un affresco della storia italiana nel corso del Novecento e come la vicenda di Tremelloni si sovrapponga al faticoso processo di sviluppo del paese verso forme di partecipazione democratica ed economica moderne. La personale esperienza del politico socialdemocratico, inoltre, permettere di riflettere su quanto tale processo si sia compiuto o, piuttosto, sia rimasto a un livello di maturazione parziale, schiacciato prima dalle rigide contrapposizioni della guerra fredda e, poi, dalla progressiva degenerazione clientelare-affaristica della vita politica nazionale.
Granata suggerisce una chiave di lettura che permette di sistematizzare la molteplicità degli argomenti trattati secondo tre assi tematici, costantemente presenti nelle varie fasi della vita di Tremelloni, anche se diversi momenti storici videro prevalere l'uno o l'altro elemento.
Il primo elemento è senza dubbio quello dell'apertura internazionale, un obiettivo perseguito attivamente soprattutto negli anni di impegno nei governi della ricostruzione e dell'inserimento dell'Italia nell'economia internazionale attraverso gli strumenti del Piano Marshall e dell'integrazione europea. In tutta l'azione di Tremelloni bisogna tuttavia sottolineare come l'internazionalismo sia uno stimolo costante, evidente ad esempio nella sua straordinaria apertura a stimoli culturali di provenienza estera e la profonda convinzione della necessità di strumenti di cooperazione pacifica tra i popoli, maturata già a partire dagli anni del Primo conflitto mondiale.
Un altro caposaldo del pensiero e dell'opera di Tremelloni fu la convinzione della possibilità – e necessità – di coniugare la libertà di mercato con aspetti di giustizia sociale, considerando questi elementi complementi necessari piuttosto che componenti antagoniste, come invece prevedevano sia l'ortodossia social-comunista sia il liberismo tradizionalista. Da qui la necessità di un grande progetto politico riformista – ispirato, non a caso, da esperienze europee piuttosto che dalla prassi italiana – che realizzasse al tempo stesso forme di mercato libere dalle distorsioni ereditate dal passato e uno stato sociale moderno ed efficiente.
Il tema dell'efficienza e della programmazione è l'ultimo elemento che scorre al di sotto dell'intera esperienza di Tremelloni, acquisendo maggiore evidenza durante gli anni di attuazione del centrosinistra. Lo stimolo non può essere banalizzato con un semplice richiamo alla ben nota personale parsimonia di Tremelloni o alla sua avversione allo spreco di denaro pubblico. Il lavoro di Granata sottolinea piuttosto come Tremelloni fu il propugnatore di un dialogo tra la dimensione dell'efficienza economica e quello della rappresentanza democratica, cioè di un'integrazione tra la dimensione della competenza e quella della decisione politica. Grazie alla rilevanza che nella ricerca viene data ad alcuni elementi finora non ancora approfonditi, è possibile rintracciare alcuni aspetti della posizione di Tremelloni già nella sua peculiare interpretazione dell'organizzazione scientifica del lavoro durante gli anni del fascismo (con la costituzione del Gruppo Amici della razionalizzazione), per poi emergere compiutamente nel dopoguerra a partire dall'esperienza del Consiglio industriale Alta Italia e convergere, infine, nell'azione a favore delle inchieste parlamentari e, col centrosinistra, di forme efficienti di programmazione economica.
Un ultimo aspetto che bisogna sottolineare per giudicare il lavoro di Granata è il fatto che l'autore, decidendo di cimentarsi nel genere della biografia, non abbia fatto una scelta banale (già con il saggio Cultura del mercato aveva incrociato la vicenda Tremelloni, ma adottando una diversa prospettiva, ricavata dall'uso di fonti parlamentari).

Avere messo programmaticamente al centro la figura di un individuo singolo, infatti, evidenzia un'altra importante chiave di lettura, cioè quella del riformista come uomo solo – prendendo a prestito la definizione data da Federico Caffè – schiacciato in uno spazio angusto delimitato, da una parte, dai fautori di una rivoluzione palingenetica e, dall'altro, dai i propugnatori dell'immobilismo reazionario. La biografia mette inoltre in luce come la costruzione delle competenza, degli schemi di pensiero e delle convinzioni morali di Tremelloni sia stata un processo squisitamente individuale, senza ambizioni di proselitismo o la traduzione in un messaggio “di massa”. Il prezzo che viene pagato per una scelta coerente e anticonformista è quello della solitudine, come evidenziano la famosa foto di Tremelloni seduto tra i banchi vuoti del Parlamento pubblicata da «Il Borghese» nel 1968 e i versi di Giorgio Caproni con i quali prende avvio il saggio. Se questa solitudine sia necessariamente sinonimo di debolezza o di incapacità di incidere sulla realtà del Paese – se non altro come lascito intellettuale ancora ricco di stimoli per l'oggi – è un interrogativo su cui il lavoro di Granata invita a riflettere con molta attenzione.
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