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Il Fondo fotografico Edison.
L’affidamento di un bene come garanzia di conservazione e valorizzazione gratuita.

di Maria Chiara Corazza

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Archivio Edison
L’archivio fotografico Edison è, secondo una stima fatta nel 2000 dal Centro per la cultura d’impresa, costituito da 230.000 documenti fotografici in originale e in copia di cui circa 150.000 stampe, 50.000 negativi su lastra di vetro e 30.000 tra negativi su pellicola, diapositive e fotocolor.
Con una convenzione sottoscritta nel 1999 Edison ha dato in deposito il proprio archivio fotografico allo stesso Centro affinché quest’ultimo lo conservi, lo valorizzi e lo metta a disposizione degli studiosi. L’iniziativa venne pubblicizzata dall’impresa nel 2000 in occasione della manifestazione Il futuro della memoria industriale svoltasi in Assolombarda, nel corso della quale rappresentanti di Edison, del sistema imprenditoriale e del Ministero dei beni culturali, presentarono la valenza politica e culturale di un affidamento di questo tipo – tra l’altro all’interno di spazi messi a disposizione dal Politecnico – per la conservazione della memoria e della storia dell’impresa stessa. In quell’occasione, tra il materiale distribuito ai presenti, venne consegnato anche un cd intitolato 100 anni di memoria industriale con una cospicua selezione delle immagini ritenute da Edison tra le più significative per raccontare la propria storia. Risale sempre al 2000 la pubblicazione di Montedison: immagini di un secolo, volume fotografico dedicato alla storia dell’impresa.
Questo fondo fotografico, testimonianza viva e riorganizzata di un fondamentale segmento dell’economia italiana, è stato dichiarato di interesse particolarmente importante dalla Soprintendenza archivistica per le Lombardia nel luglio 2004, inserendolo così appieno nel circuito dei beni culturali nazionali di ragguardevole interesse. Questo riconoscimento, così come il deposito dell’archivio è stato comunicato da Edison ai propri dipendenti attraverso il proprio house organ “MondoEdison”, periodico all’interno del quale vengono occasionalmente pubblicate le immagini dello stesso archivio.
Dato che il fondo fotografico affidato al Centro è in gran parte testimonianza dell’attività chimica di Montecatini – e in misura minore di quella elettrica di Edison - le immagini raffigurano principalmente stabilimenti industriali, strutture minerarie, laboratori, piantagioni di frutta e verdura, applicazioni della plastica e strutture assistenziali, senza dimenticare le fotografie dei set cinematografici, della sede di Foro Bonaparte e dei personaggi più significativi nella storia dell’impresa, nonché un’ampia e dettagliata sezione delle fiere italiane ed estere a cui l’impresa ha aderito.
Proprio perché il Centro persegue tra i suoi principali scopi istituzionali quello di costituire e accrescere un Archivio economico territoriale (Aet), una convezione di tale natura risponde appieno allo spirito e allamissioneche esso si è dati. Con un’evoluzione concettuale nella gestione e, soprattutto, nella valorizzazione dei beni culturali che è andato maturando sempre più negli anni, il Centro ha richiesto ad Edison la modifica del regolamento attuativo della convenzione in due direzioni. Anzitutto nel lasciare alla sola impresa proprietaria del fondo la possibilità di commercializzarne le immagini, cosa che in realtà l’impresa non ha mai inteso fare;  in secondo luogo nel formulare l’auspicio che impresa e associazione possano individuare istituzioni culturali che condividano la finalità del progetto e collaborino al riordino, alla catalogazione, alla digitalizzazione e al restauro del bene o di sue sezioni.
Questo aspetto è stato fondamentale nella costruzione di una nuova convenzione che l’impresa, il Centro e il Parco nazionale tecnologico e archeologico delle colline metallifere grossetane (http://www.parcocollinemetallifere.it/) hanno sottoscritto nel 2006. Essa è stata poi estesa alla stessa Camera di commercio di Grosseto e a quella di Milano per poter attivare un primo e sistematico intervento di catalogazione con l’applicativo SIRBeC e acquisizione digitale di circa 4.000 fototipi inerenti da un lato alla realtà toscana (con particolare attenzione alle miniere) dall’altro all’attività estrattiva realizzata sull’intero territorio nazionale. L’intervento ha costituito così l’occasione – data l’impossibilità di riordinare e catalogare l’intero fondo – di mettere a punto un metodo di lavoro su una piccola sezione dell’archivio che possa eventualmente essere esteso modularmente ad altre sezioni.
Per individuare e quantificare le immagini di interesse per questo progetto, il Centro si è avvalso dell’unico strumento di corredo finora disponibile, ovvero un elenco di consistenza realizzato durante la stesura della tesi di laurea da Francesca Magliulo. Questo elenco, seppur volutamente e necessariamente non definitivo – e ora in fase di maggior approfondimento da parte dello stesso Centro – ha fornito gli elementi chiave per identificare quanti e quali contenitori avessero al loro interno documentazione interessante per questo intervento. L’elenco in questione identifica da una parte le unità complesse costituite principalmente da album fotografici e da scatole di cartone.
Dagli anni cinquanta del Novecento l’impresa si è dotata di un ufficio fotografico interno – lo si deduce dai registri conservati, che sono compilati tra il gennaio 1958 e il marzo 1982 – e  negli anni settanta è avvenuto un importante intervento di riorganizzazione di questa documentazione. Questo ufficio fotografico interno si era dedicato alla realizzazione di servizi che hanno poi permesso uno studio non solo della singola realtà d’impresa ma anche – grazie alla rilevanza di quest’ultima – della rappresentazione dell’economia, della società e del territorio italiano nel suo divenire, lungo quasi un secolo. In parallelo lavorarono per l’impresa grandi esponenti della fotografia italiana, quali ad esempio Bruno Stefani, Vincenzo Aragozzini per lo Studio Crimella, Achille Bologna, lo Studio Ancillotti e Martinotti, Riccardo Moncalvo, Ernesto Fazioli, l’Agenzia Publifoto, Tullio Farabola, Federico Patellani e Ugo Mulas, a cui venivano commissionate specifiche campagne fotografiche.
Qualcuno – forse lo stesso ufficio fotografico interno – ha proceduto ad una sistematica riorganizzazione della documentazione fotografica prodotta. Ci si accorge di questo grazie alla condizionatura di album monotematici, che hanno consentito la selezione e la conservazione del patrimonio fotografico delle imprese. Il tema – di qualsiasi natura esso sia – è quasi sempre l’unico filo conduttore tra i supporti, spesso in plurime copie e di epoche differenti. Ed è proprio per rispondere a finalità precise che i servizi fotografici sono stati scomposti, selezionati e riorganizzati secondo finalità differenti.
Individuati i contenitori di interesse per il progetto, si è iniziato a studiarli e a quantificarne il contenuto. Uno dei primi elementi confermati è stato l’ordinamento della documentazione per soggetto (quindi non cronologico o per autore). Come in questi casi accade all’interno di ciascun contenitore ci sono immagini su supporti di epoche diverse con tematiche simili.
Quest’analisi è stata fondamentale per individuare i possibili scatti di interesse per il progetto - e come tali oggetto di possibile catalogazione e digitalizzazione - e i semplici duplicati. Alla fine dei circa 5.700 supporti inizialmente visionati (di cui circa 1.600 duplicati della stessa immagine), sono stati scelti quelli per la catalogazione. In presenza di altri supporti delle immagini scelte, si è proceduto ad una loro condizionatura separata.
È stata comunque individuata come priorità quella di restituire con questo progetto non solo la “semplice” catalogazione del singolo documento ma ancora di più la composizione dell’album nella sua interezza di unità documentaria. Le foto quindi non sono state considerate come bene a se stante ma come frammento di un racconto più ampio. Non a caso uno degli elementi rilevati nella catalogazione è stata proprio la posizione di ogni singola foto all’interno del contenitore, in modo che esso fosse sempre ricostruibile virtualmente – e, volendo, fisicamente – anche dopo il suo smembramento in fase di condizionatura a norma. Fondamentali sono stati a questo riguardo gli indici alle immagini costruiti a suo tempo dall’impresa – oggetto anch’essi di digitalizzazione – (in cui sono indicati numero di inventario del negativo, soggetto, autore e, più raramente, eventuale riservatezza della foto) e che non sempre corrispondono alla situazione reale a causa di successivi rimaneggiamenti. Questi elenchi indicano anche l’oggetto ripreso, permettendo così in caso di assenza di altre indicazioni di individuarlo con più sicurezza. Molto spesso queste indicazioni sono state poi incrociate con le didascalie esplicative incollate sul verso dei fototipi (o per meglio dire, sul verso di tutte le copie recuperate dello stesso scatto) che sono stati la guida principale per la successiva soggettazione dei supporti catalogati.
Di ogni scatto si sono trovate copie plurime stampate in epoche diverse e conservate in alcuni casi all’interno della stessa “pagina” dell’album, in altri casi in molteplici contenitori di soggetto uguale o simile. Per la scelta dello scatto da catalogare si è costruito a poco a poco un “manuale-guida” che esplicitava i criteri di selezione di uno scatto tra gli altri (lo stato di conservazione del supporto, la contemporaneità del supporto allo scatto, i timbri dell’autore, etc).
Per poter far questo è stato fondamentale riorganizzare i contenitori – in particolare gli album – in quello che si è individuato essere l’ordinamento dato negli anni settanta, ossia l’ordine numerico rintracciabile sulla costa o sulla prima di copertina degli stessi. In questo modo, si è ricreata quella che si pensa essere la sequenza di “serie” documentarie e che ha permesso di confrontare in modo più sistematico e puntuale la documentazione. I risultati di questo lavoro saranno a breve consultabili sul sito della Regione Lombardia alla pagina http://www.lombardiabeniculturali.it/.
Questa ricostruzione “prototipale” a posteriori di una piccola parte del fondo – resasi necessaria con l’occasione del progetto sulla Toscana e l’attività estrattiva italiana – sta attualmente estendendo all’intero fondo fotografico grazie all’avvio di un nuovo progetto cofinanziato dalla Regione Lombardia. In questo modo sarà possibile avere una visione d’insieme più completa che permette di agganciare ogni singola unità (il nostro contenitore) ad una serie ben precisa. Infine, con il Parco, Edison e la Regione Lombardia si stanno individuando sistemi di consultazione e valorizzazione della catalogazione realizzata in modo che quanto compiuto possa essere condiviso da tutta la comunità scientifica così da poter rispondere appieno alla convenzione sottoscritta tra le parti, ovvero, la diffusione dei beni culturali in ambito non commerciale.
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