Il recente volume di Monica Amari, operatrice milanese  nell’ambito della progettazione culturale, si dichiara un “manuale” (in linea  con la politica editoriale dell’editore) ma sovente assume l’andamento di un  “saggio”.
Infatti, il tema in oggetto, “come la cultura possa  diventare risorsa per la valorizzazione del territorio”, viene affrontato sotto  il profilo dell’organizzazione efficiente ed efficace delle relative attività  manageriali, senza mai trascurare aspetti più squisitamente politici;  segnatamente le nuove strategie locali per lo sviluppo competitivo sostenibile  d’area.
Un tema oggetto di estrema attenzione da almeno due decenni  in Europa ma quasi completamente negletto nel nostro Paese. L’esito  (disastroso) di Bologna “capitale europea della cultura 2000” e quello  (circoscritto alla dimensione temporale annuale dell’evento) di Genova,  anch’essa capitale nel 2004, stanno lì a rammentarcelo.
Al contrario, lo schema che ci viene proposto è quello di  una strategia di lungo periodo. Seguendo le parole dell’autrice, “la progettazione culturale sta iniziando a  delinearsi come una ‘disciplina’ autonoma, il cui fondamento è l’agire in una  prospettiva di multidisciplinarietà che vede quadri normativi, saperi e  capacità intrecciarsi con processi amministrativi, economici e sociali di  pianificazione territoriale e di marketing” (pag. 9).
In giro per il mondo oggi è così. Per noi europei il caso  che fa testo è quello di Bilbao.
Certo, la rinascita della città basca, alle prese con una  tipica crisi di deindustrializzazione, è ovviamente un fenomeno assai più  complesso. Eppure vi è unanime accordo sulla valutazione che la sua politica  culturale ha giocato un ruolo decisivo. Simbolico e concreto.
Qualcuno ha parlato di “effetto Bilbao”, la cui icona è  l’ormai famoso museo  Guggenheim (www.guggenheim.bilbao.es). 
Realizzato dall’architetto 
Frank Ghry;  inaugurato nel 1997 e ormai meta canonica per frotte di turisti provenienti da  ogni dove. Il 
Financial Times  ha valutato che, da solo, il museo ha  generato un giro d’affari che si aggira attorno ai 500 milioni di euro nei  primi tre anni, 160 la cifra nel 2002. Ma – si noti bene – il museo si inseriva  in un disegno complessivo che affiancava altre grandi opere (una metropolitana  di 35 chilometri le cui stazioni sono state disegnate da un altro grande  architetto come 
Norman Foster, un  ponte e un nuovo aeroporto opera del catalano 
Santiago Calatrava ad un’intesa opera di  animazione culturale e di sensibilizzazione collettiva 

all’accoglienza.
Un esempio che ha fatto scuola: dalla 
Central Library di  Seattle , progettata  dall’olandese 
Rem Koolhaas  e visitata quotidianamente da 12 – 15.000 persone, al 
Contemporary Arts  Center di Cincinnati,  opera dell’architetta irachena 
Zaha Hadid  e subito  trasformatosi in un vero centro di attrazione.
C’è nel panorama italiano qualche esempio che vagamente  assomigli a questo fervore urbano? In un Paese che concepisce  l’infrastrutturazione ancora come la si pensava alla fine dell’Ottocento (strade  e trafori)?
Il libro della Amari apre uno squarcio per tanti  amministratori locali da cui potrebbe arrivare un raggio di luce che rischiari  profonde tenebre burocratiche. E questo è certamente il suo primo merito. Ma ce  n’è pure un secondo: quello di aver messo in chiaro una sfida al sistema  formativo ad oggi gravemente rimossi La sfida di formare il personale  tecnico-amministrativo preparato a implementare politiche pubbliche locali  finalizzate alla valorizzazione delle risorse del territorio.
Tante volte si sente dire che l’Italia dovrebbe gestire in  chiave economica i suoi più che cospicui giacimenti d’arte e di bellezza  (incominciando – magari – a conservarli meglio). Per iniziare a farlo,  bisognerebbe imparare a gestirli, tali giacimenti.
Il libro di Monica   Amari spiega come si fa.