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Monica Amari
Progettazione Culturale – metodologia e strumenti di cultural planning

Franco Angeli Milano, 2006
Recensione di Pierfranco Pellizzetti

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Il recente volume di Monica Amari, operatrice milanese nell’ambito della progettazione culturale, si dichiara un “manuale” (in linea con la politica editoriale dell’editore) ma sovente assume l’andamento di un “saggio”.
Infatti, il tema in oggetto, “come la cultura possa diventare risorsa per la valorizzazione del territorio”, viene affrontato sotto il profilo dell’organizzazione efficiente ed efficace delle relative attività manageriali, senza mai trascurare aspetti più squisitamente politici; segnatamente le nuove strategie locali per lo sviluppo competitivo sostenibile d’area.
Un tema oggetto di estrema attenzione da almeno due decenni in Europa ma quasi completamente negletto nel nostro Paese. L’esito (disastroso) di Bologna “capitale europea della cultura 2000” e quello (circoscritto alla dimensione temporale annuale dell’evento) di Genova, anch’essa capitale nel 2004, stanno lì a rammentarcelo.
Al contrario, lo schema che ci viene proposto è quello di una strategia di lungo periodo. Seguendo le parole dell’autrice, “la progettazione culturale sta iniziando a delinearsi come una ‘disciplina’ autonoma, il cui fondamento è l’agire in una prospettiva di multidisciplinarietà che vede quadri normativi, saperi e capacità intrecciarsi con processi amministrativi, economici e sociali di pianificazione territoriale e di marketing” (pag. 9).
In giro per il mondo oggi è così. Per noi europei il caso che fa testo è quello di Bilbao.
Certo, la rinascita della città basca, alle prese con una tipica crisi di deindustrializzazione, è ovviamente un fenomeno assai più complesso. Eppure vi è unanime accordo sulla valutazione che la sua politica culturale ha giocato un ruolo decisivo. Simbolico e concreto.
Qualcuno ha parlato di “effetto Bilbao”, la cui icona è l’ormai famoso museo Guggenheim (www.guggenheim.bilbao.es).

Realizzato dall’architetto Frank Ghry; inaugurato nel 1997 e ormai meta canonica per frotte di turisti provenienti da ogni dove. Il Financial Times ha valutato che, da solo, il museo ha generato un giro d’affari che si aggira attorno ai 500 milioni di euro nei primi tre anni, 160 la cifra nel 2002. Ma – si noti bene – il museo si inseriva in un disegno complessivo che affiancava altre grandi opere (una metropolitana di 35 chilometri le cui stazioni sono state disegnate da un altro grande architetto come Norman Foster, un ponte e un nuovo aeroporto opera del catalano Santiago Calatrava ad un’intesa opera di animazione culturale e di sensibilizzazione collettiva all’accoglienza.
Un esempio che ha fatto scuola: dalla Central Library di Seattle , progettata dall’olandese Rem Koolhaas e visitata quotidianamente da 12 – 15.000 persone, al Contemporary Arts Center di Cincinnati, opera dell’architetta irachena Zaha Hadid e subito trasformatosi in un vero centro di attrazione.
C’è nel panorama italiano qualche esempio che vagamente assomigli a questo fervore urbano? In un Paese che concepisce l’infrastrutturazione ancora come la si pensava alla fine dell’Ottocento (strade e trafori)?
Il libro della Amari apre uno squarcio per tanti amministratori locali da cui potrebbe arrivare un raggio di luce che rischiari profonde tenebre burocratiche. E questo è certamente il suo primo merito. Ma ce n’è pure un secondo: quello di aver messo in chiaro una sfida al sistema formativo ad oggi gravemente rimossi La sfida di formare il personale tecnico-amministrativo preparato a implementare politiche pubbliche locali finalizzate alla valorizzazione delle risorse del territorio.
Tante volte si sente dire che l’Italia dovrebbe gestire in chiave economica i suoi più che cospicui giacimenti d’arte e di bellezza (incominciando – magari – a conservarli meglio). Per iniziare a farlo, bisognerebbe imparare a gestirli, tali giacimenti.
Il libro di Monica Amari spiega come si fa.

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