Guido Rossi, esperto internazionale di diritto  societario e grande avvocato d’affari milanese, con questo agile saggio su “Il  gioco delle regole” riprende il ragionamento avviato tre anni fa ne “Il  conflitto epidemico” (Adelphi, 2003),  allargandone gli scenari di riferimento.
Allora il tema erano gli squilibri nel capitalismo  finanziario (conflitti di interesse),  in via di transizione dallo stato “endemico” a quello “epidemico”, quali agenti  di sopraffazione che tendono a istituzionalizzare le disparità (per cui,  inquinando il corretto funzionamento degli scambi, insidiano le ragioni stesse  dell’economia di mercato). Ora l’analisi prende in esame la distruzione di ogni  forma di controllo che mette a repentaglio persino il principio di ordinamento  giuridico.
Ancora una volta la matrice del cambiamento viene  individuata nelle trasformazioni dell’economia capitalistica, in questa fase di  crescente finanziarizzazione che recalcitra ad ogni forma di controllo. Dunque  la tendenza a sostituire le norme generali con accordi pattizi tra privati  contraenti (e a tutto vantaggio di quelli più forti), quale via di fuga dalla  giurisdizione statuale.
Una  privatizzazione delle regole che Rossi definisce - con un termine a rischio di  ingenerare non poca confusione - “contrattualismo”. Del resto, fenomeno  investigato già dieci anni fa da Saskia Sassen, docente di  pianificazione urbana dell’Università di Chicago.  
                            
Già  docente della Columbia University di New York, Saskia Sassen è nota in tutto il  mondo per i suoi studi sulla globalizzazione. È autrice - tra l’altro - di 
Le città globali (Torino UTET 1997), 
Le città nell’economia globale (Bologna  Il Mulino 

1997) e 
Migranti, coloni e  rifugiati (Milano Feltrinelli 1999)
 
come nascita alluvionale di un “diritto internazionale  privato” attraverso gli arbitrati dei grandi studi legali anglo-americani e le  valutazioni operate dalle agenzie oligopolistiche nel mercato del 
rating; in particolare 
Moody’s e 
Standard and Poor’s  (
Fuori controllo, Il Saggiatore Milano,  1998).
Osserva Rossi: “nonostante le intemperanze cui  spesso si abbandonano i fautori più estremi del libero mercato, l’unico  strumento ad oggi disponibile per la tutela dell’interesse generale rimangono  le norme. È di questo paradosso che il sistema si ritrova prigioniero. In altre  parole, la riduzione dell’intero corpo sociale a una folla di contraenti, e  dello Stato a grande mediatore fra interessi contrattuali diversi, comporta un  sostanziale svuotamento della legge” (pag. 26).
Insomma, le recenti tendenze alla deregolamentazione  dei mercati in tutti i paesi a capitalismo avanzato rappresentano l’ulteriore  prova contro l’esistenza di un ordine rigorosamente legislativo del mercato. Un 
trend in accelerazione.
Perché - dunque - 
l’impresa irresponsabile? Su questo punto al giurista Rossi può  venire a supporto il sociologo 
Luciano  Gallinoche, in un volume dell’anno  passato, ricostruiva le ragioni profonde delle tendenze in atto. Ossia la  nascita del “capitalismo manageriale azionario”; che vede le proprietà - dopo  la lunga fase di assenteismo tra il dopoguerra e la seconda metà degli anni 70  - ritornare a indirizzare i criteri gestionali delle aziende, in alleanza con i  manager. Alleanza foraggiata con la spartizione dei robusti dividendi  borsistici assicurati dalle operazioni speculative (
L’impresa irresponsabile, Einaudi  2005, pag. 35). Un 
trend abbastanza catastrofico, non solo per gli effetti sociali ma  anche per i risultati di medio periodo di aziende imprigionate dalla logica  della monetizzazione dei risultati a breve e nel dilagare dell’irresponsabilità  gestionale. Ne è lampante conferma la sequela di scandali economici di questi  ultimi anni: dall’Enron alla Parmalat. Cui non ha portato nessun giovamento la  proliferazione di strumenti per l’autogoverno societario come i cosiddetti 
Codici Etici (“galatei aziendali”, li  definisce ironicamente Rossi).
D’altro canto la 
deregulation del diritto a livello globale finisce per sconnettere non solo le funzioni  regolative dello Stato, arriva a investire gli embrionali tentativi di  costituire un sistema istituzionale mondiale. Infatti, la crisi in cui sono  precipitate le Nazioni Unite, a seguito dell’oscuramento durante la crisi  irachena, vede emergere come unico organismo internazionale ancora 
sul campo il 
WTO (World Trade Organization), non certo il miglior bastione per  difendere i diritti umani, contrastare il terrorismo internazionale e governare  giuridicamente le accelerazioni imposte dalle nuove tecnologie (dalla ricerca  in biologia al diritto di proprietà intellettuale).
Quali vie d’uscita? Qui il discorso di Rossi tende  necessariamente a farsi più vago: ricomporre una capacità sanzionatoria delle  norme attualizzando l’utopia kantiana dello 
ius  cosmopoliticum e tornare a diffondere una cultura che ostracizzi il  comportamento scorretto. La condanna sociale rappresentata dal discredito  (“sanzione di vergogna”). Come avveniva a Genova già alla fine del medio evo,  con il creditore insolvente esposto nudo su una lastra di ardesia (
chiappa) al ludibrio dei mercanti che  transitavano nella centralissima piazza Banchi.
PFP.