| 
          
           | 
           | 
          
              
               
                  | 
                recensioni | 
               
			   
                  | 
                  | 
               
               
                
                     
                        | 
                        | 
                        | 
                     
                     
                        | 
                       
                           
                            
                               
                                 
                                  M. Granata,  Cultura del mercato. La Commissione parlamentare d’inchiesta sulla 
  concorrenza (1961-1965),  
                                    prefazione di Giuliano Amato, postfazione di Sabino Cassese,  
                                    Rubbettino-Centro per la cultura d’impresa, Soveria Mannelli, 2008, pp. 294, € 22,00 
                                     recensione di Piero Bassetti  
                                     
                                    
                                  
                                                                  | 
                                  | 
                                  
                                    
                                       
                                         
                                          Ingrandisci 
                                        il testo | 
                                          | 
                                       
                                       
                                          | 
                                       
                                     
                                    | 
                               
                             
                             Libro interessante su un episodio politico sicuramente meno  interessante. L’inchiesta poteva, infatti, essere svolta «sul serio» o «per  burla» – fu fatto notare da Ernesto Rossi a Roberto Tremelloni, presidente della  Commissione “antimonopolio”, che, per essere un socialista, secondo lui si  rivelava avere «troppi riguardi per tutti i potenti della terra»: realizzare  quell’inchiesta «sul serio» significava produrre sì studi, ma anche sviluppare  una vera e propria attività inquirente. 
  Con un giudizio ammantato di realismo, ma un po’ troppo consenziente  rispetto alle dinamiche degli equilibri politici, l’autore definisce «velleitaria»  la critica di Rossi, perché uno scontro sul problema dei monopoli avrebbe  provocato la paralisi della commissione. Anche se ciò era molto probabile,  occorre precisare che velleitario dovrebbe essere solo ciò che, pur tentato,  non ha raggiunto il fine perseguito. Il giudizio, altrimenti, non contribuisce  a suscitare quelle energie ideali che occorrerebbero per mutare uno stato di  cose di cui, implicitamente, viene giustificata l’esistenza per il solo fatto  di esistere. Un mutamento del quale, a quel tempo, c’era, invece, molto bisogno. 
  A prescindere dalla proposta di Rossi, appare apodittico ritenere una  simile condotta l’unica con possibilità di risultati, come traspare a proposito  della condotta di Tremelloni. Un simile giudizio per essere fondato avrebbe  dovuto considerare una pluralità di tentativi contestuali, dai quali ne fosse  emerso uno più efficace degli altri. Ottenne, invece, buoni risultati l’azione  condotta dal primo presidente della Commissione, anche laddove la valutazione  dell’autore sembra spingersi un poco oltre quella lecita allo storiografo,  manifestandosi, per passione o eccessivo coinvolgimento, come un giudizio  politico discutibile. A voler essere sempre e troppo “realisti”, si finisce  spesso per non contribuire – tanto con la riflessione storiografica quanto con  la prassi politica – alla creazione di quelle condizioni che consentono la  realizzazione dell’improbabile e, pertanto, l’innovazione nella società o nella  politica. 
  Con ragione nel libro, al fine di valutare meglio l’attività svolta dalla  Commissione, si suggerisce di scindere il valore degli studi dalle risposte  politiche espresse. Tenuto per fermo che politicamente fu un fallimento, le  analisi condotte dalla Commissione riuscirono a fornire risultati di qualità  anche grazie ai poteri speciali di cui essa era dotata e che le permisero, come  ha osservato Giuliano Amato, di «conoscere i fatturati delle principali aziende  italiane, le loro partecipazioni incrociate, le quote di mercato di operatori  in posizione dominante, le modalità operative della Federconsorzi e dell’Ente  risi, sino alle basi documentali delle decisioni sui prezzi del Cip». Con il  proprio lavoro, la commissione rendeva ufficiali, attraverso il confronto di  differenti e autorevoli punti di vista, dopo le rare denunce espresse negli  anni in sede pubblicistica, alcune distorsioni e alterazioni nel mercato italiano.  
  In seguito alla presidenza di Tremelloni – che una certa mediazione tra  conservatori e progressisti riuscì pure a realizzare – l’azione condotta sotto  Mario Dosi e poi Flavio Orlandi si manifestò lungo una via pressoché opposta a  quella che generò il centrosinistra. Questo fatto può suscitare alcune  interessanti riflessioni sui rapporti in Italia tra la rappresentanza politica  e quella economica durante i primi anni sessanta. Esse non dovrebbero  prescindere dal considerare contestualmente la paradossale azione monopolista di  intervento di uno Stato che, almeno formalmente, era interessato a difendere la  concorrenza dai monopoli. Esse non dovrebbero dimenticare neppure di attribuire  il giusto valore anche a un paradosso contenuto in quello precedente: occorreva  difendere il mercato da monopoli che non si sapeva bene cosa fossero o, meglio,  che assumevano proteiformi significati a seconda della preparazione o  dell’orientamento politico dello studioso interpellato. Qualora ce ne fosse  stato bisogno, e ammesso che sia servito a qualcosa, dai lavori della Commissione  emergeva unanimemente chiaro, tuttavia, che nel mercato non si manifestava  un’azione meramente tecnica dell’impresa. 
  L’analisi di una realtà economica determinata da commistioni politiche fu  condotta da un’autorità non indipendente, prodotta da equilibri politici che  contribuivano a suggerire una rappresentazione particolare di quella stessa  realtà. Essa era costituita da industriali in crisi di identità: circondati da  monopoli pubblici, desideravano idealmente una legge “antitrust”, che, nelle  circostanze date, più che garantire avrebbe limitato ancor più quella libera  concorrenza tanto agognata. 
                              Il libro, indubbiamente, aiuta a capirla.
                            
                             
                           
                          | 
                        | 
                     
                     | 
               
               
                |    | 
               
              | 
            | 
          
            
              
                  
                    
                        
                            | 
                           altre recensioni | 
                         
                      | 
                   
                | 
             
            
               | 
             
            | 
            |