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                                  S. Ruju,  I mondi minerari della Sardegna. Con dieci testimonianze orali,  
                                    Cagliari, Cuec, 2008, pp. 320, € 15,00 
                                     recensione di Andrea Strambio de  Castillia
                                    
                                                                  | 
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                             Al seminario  di Arezzo del 1993 su Fonti orali e storia d'impresa Duccio Bigazzi, nel  tracciare un bilancio sull'esperienza maturata dagli storici italiani rilevava:  «Fin dai suoi inizi la storia orale italiana ha messo in guardia con fermezza  contro la visione semplificata (e fondamentalmente paternalista) di una  impossibile “restituzione”della storia agli espropriati e contro l'assioma di  una separazione “originaria” e “naturale” tra mondo operaio e mondo borghese,  tra cultura operaia e cultura borghese» ;  e poco più avanti: «Una fabbrica che non è soltanto il mondo operaio e non è  soltanto il mondo degli uffici, ma un complesso intreccio tra la realtà operaia  e la realtà del management e quella realtà che è sempre la meno studiata dei  quadri intermedi di fabbrica, dei tecnici, dei capi reparto, ecc.» . Il lavoro di Sandro Ruju,  che proprio ad Arezzo presentava le sue ricerche sull'industria del cuoio e del  sughero e anticipava questa indagine sulle miniere, ha questa consapevolezza di  fondo. 
                              Il libro si  suddivide in tre parti: nelle prime due ritroviamo il saggio di Ruju su I  mondi minerari della Sardegna e il caso dell'Argentiera, 1860-1960, apparso nel 1999 nel volume degli Annali  della Fondazione Feltrinelli curato da Stefano Musso dal titolo Tra fabbrica  e società; l'ultima parte, inedita, contiene dieci testimonianze orali  raccolte nel corso della ricerca. 
                              Nella scelta  del titolo del saggio appare quanto mai appropriato l'uso della parola “mondi”  al plurale: infatti, se il concetto stesso di miniera evoca un luogo di  passaggio tra mondi (dal terrestre e luminoso al sotterraneo e tenebroso), la  realtà effettiva dell'industria mineraria sarda è quella di un insieme  eterogeneo di mondi o, secondo le parole di Ruju, «un sistema di porti  collegati tra loro eppure in vario modo peculiari». L'universo geografico di  riferimento è quello della costa occidentale dell'isola, dal capo  dell'Argentiera a nord fino alle miniere di carbone del Sulcis a sud, passando  per le colline metallifere del guspinese e dell'iglesiente. 
                              In alcuni  siti minerari più distanti dai centri abitati, come quelli di Ingurtosu e  dell'Argentiera, l'isolamento è un dato di fatto e la vita delle comunità  formate dai lavoratori e dalle loro famiglie ruota integralmente attorno alla  miniera e, quando presenti, ai servizi aziendali di spaccio, cantina,  dopolavoro, scuola, ecc. L'unico elemento che attenua l'isolamento delle  comunità, almeno fino alla Prima guerra mondiale, è la continua mobilità di  minatori e tecnici, sardi e continentali, alla ricerca di un lavoro migliore e  meglio pagato. 
                              L'assetto  proprietario di queste miniere è un altro elemento di differenziazione: nel  panorama coesistono società anonime facenti capo a gruppi stranieri come la  Pertusola, gruppi industriali italiani privati e pubblici come Monteponi e  Ammi, famiglie di imprenditori sardi come i Sanna a Montevecchio. Queste differenze  si riflettono nella vita della miniera, nel trattamento più o meno  paternalistico riservato ai lavoratori, nei diversi rapporti con l'autorità  politica e con le forze sindacali organizzate. Anche l'evoluzione dei  trattamenti salariali si differenzia nelle varie realtà industriali: il  passaggio dalla paga giornaliera ai diversi sistemi di cottimo e infine  l'introduzione di contratti collettivi di lavoro segue tempi e modalità  diverse. 
                              Lo  sfruttamento dei giacimenti carboniferi del Sulcis ci presenta un altro mondo  minerario a sé stante: sotto la spinta della politica autarchica viene fondata  nel 1937 la città di Carbonia che attrae in breve tempo immigrati da tutta  Italia. La forza lavoro impiegata dall'Azienda carboni italiani passa dalle 700  unità del 1935 alle 15.000 del 1940 e alla fine della guerra l'area di Carbonia  rappresenta la più grande concentrazione operaia dell'isola. 
                              La rapidità  di questo boom industriale e demografico sarà eguagliata dal processo di  deindustrializzazione del settore minerario sardo, esauritosi nell'arco di  pochi decenni. 
                              Dal punto di  vista delle fonti, lo studio di Sandro   Ruju si basa sull'analisi di una mole notevole di documenti  d'archivio, sia quelli più e meno noti conservati dai locali istituti di  conservazione, sia quelli rinvenuti dallo studioso nel corso della ricerca,  come il diario scritto nel 1881 del minatore piemontese Domenico Fontana. Ad  arricchire l'apparato documentario vi sono le numerose interviste che Ruju ha  realizzato tra il 1988 e il 1997 per meglio chiarire e approfondire le  questioni emerse nel corso della ricerca. Il ricorso alle fonti orali si fa  sentire, la descrizione degli anni successivi alla Prima guerra mondiale assume  una diversa coloritura, gli aspetti legati alla vita quotidiana della miniera  emergono con più chiarezza, l'interpretazione dei testimoni diviene parte  integrante degli eventi narrati. 
                              Dieci di  queste interviste sono pubblicate nella terza parte del volume: Pietro Cocco e  Daverio Giovannetti, figure di spicco del Pci sardo vissero da protagonisti gli  scioperi del biennio 1948-49; Giulio Boi, ingegnere ad Ingurtosu descrive il  funzionamento del sistema di cottimo Bedaux, mentre Antonio Sotgiu ci racconta  le lotte dei minatori per la sua abolizione; Teresa Allazetta, nata all'Argentiera  più di un secolo fa in una famiglia di minatori piemontesi, rievoca la sua  infanzia felice in miniera fino al trauma della fuga precipitosa dalla Sardegna  per gli scioperi del biennio rosso. La lettura di queste e delle altre  testimonianze vivifica i dati dell'analisi storica e offre una visione non  mediata del contesto umano. La selezione di un numero limitato di testimoni  rilevanti e la varietà dei temi trattati nei colloqui non permettono di formare  un coro di storie di vita affini, anche perché molte di queste voci provengono  da mondi minerari differenti. 
                              Forse il  lettore più interessato alla metodologia dell'oral history avrebbe  trovato interessante una nota che lo informasse del procedimento di raccolta e  trascrizione delle fonti, come anche delle modalità di analisi e di edizione;  forse però questa aggiunta avrebbe mutato l'equilibrio di questa pubblicazione  che è al tempo stesso approfondita e leggera, adatta, anche per il suo formato  tascabile, ad accompagnare un viaggiatore curioso in visita ai siti minerari  della Sardegna occidentale.
                             
                            
                             
                            
                           
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