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Il Gruppo Malacalza
di Alessandro Lombardo
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La società capogruppo si chiama Castel, ma per tutti è semplicemente il Gruppo Malacalza.
Con un padre nobile, Vittorio, che ha ceduto il passo ai due figli, Davide e Mattia, ma che nell’immaginario collettivo – a Genova come a Piacenza, la sua provincia di origine – conserva le stimmate del capo. Tipico per un paese nel quale il capitalismo familiare continua ad essere lo schema principale dell’imprenditoria.
Il Gruppo Malacalza oggi si articola con attività in diversi settori: produzione di lamiere e carpenteria industriale; strutture speciali, ponti, edifici multi-piano; produzione di sistemi di tubazioni per l’industria dell’energia, gas, petrolio, chimica e acqua; fornitura di sistemi modulari per trattamento gas; fornitura di parti di impianto per centrali elettriche; produzione di componenti a pressione; packages, skids e sistemi per centrali termo-nucleari; servizi di ingegneria, assistenza tecnica e parti di ricambio per l’industria dell’acciaio; commercio di prodotti siderurgici.
Un complesso vasto, con alcuni fiori all’occhiello: Asg, erede diretta (ha solo cambiato ragione sociale) di Ansaldo superconduttori, che il gruppo ha acquisito da Finmeccanica, facendone un player a livello mondiale (partecipa alla realizzazione del più grande acceleratore di particelle, al Cern di Ginevra, e alla costruzione di Iter, la centrale che punta a rendere industrialmente possibile la fissione nucleare, il cosiddetto “atomo pulito”) e Paramed, che nel biomedicale sta sviluppando prodotti all’avanguardia mondiale, come la risonanza magnetica “aperta”. E poi c’è la grande scommessa della riconversione e del rilancio della Ferrania.
Anche queste vicende, come quella della siderurgia, che recentemente ha scritto la pagina di un importante accordo del gruppo con gli ucraini della Metinvest hanno una radice comune: la storia dell’imprenditore Vittorio Malacalza. Che nasce a Bobbio, si sposta a Piacenza per frequentare le elementari e ci si ferma fino alla quarta liceo, quindi Genova, dove conclude il liceo e si iscrive all’università alla facoltà di ingegneria. Una storia come tante se non fosse che Malacalza la sua impresa la costruisce realizzando in Italia un tipico sogno americano. «Perché – dice lui – imprenditore si nasce, non si diventa». E così accade. Dai primi passi, quando rinuncia a un importante e ben remunerato incarico “sotto padrone” pur di mettersi in proprio, al momento in cui l’incontro con un alto funzionario dell’Anas gli offre la vera opportunità: entrare in lizza per gli appalti di Autostrade. Non è convintissimo, Malacalza, ma si lascia convincere e comincia un’esperienza che interromperà bruscamente quando gli chiedono una tangente su un appalto: «Questione di principio, morale e professionale. Sul piano etico c’è poco da spiegare, su quello professionale non potevo accettare di vedere così svilito il mio mestiere».
E qui, lo racconta lui stesso, «comincia la mia fortuna!».
Entra nella siderurgia, con un progetto un po’ utopico: vendere una partecipazione per il mercato internazionale all’Ilva. «Mi danno del pazzo, dicendomi che l’Ilva non comprerà mai una simile partecipazione, invece l’Ilva volle la maggioranza, ma io ottenni la gestione». Divenne una società di trading enorme, che fatturava all’epoca 4-5 mila miliardi. E quando la crisi dell’Ilva si manifesta in tutta la sua virulenza, Malacalza non si perde d’animo, avviando un’attività per conto proprio. Da lì in poi è stata un’escalation inarrestabile. Fino ai giorni nostri, fino al passaggio del testimone in mano ai figli. Sui quali, però, il “grande vecchio” veglia e vigila, pronto a dispensare consigli e, quand’è il caso, a rientrare in campo. Questioni di famiglia, di capitalismo familiare. Ma non nell’accezione spesso negativa che se ne può dare. In termini di famiglia Malacalza configura anche l’impegno al quale ha deciso di dedicarsi: lavorare per i colleghi, i piccoli e i medi imprenditori che vogliono fare il loro mestiere al meglio. E per tutti coloro che coltivano un sogno americano in salsa tricolore. La strada che ha scelto è correre per la presidenza di Confindustria Genova. «Fare l’imprenditore è una missione che hai nell’anima, che ogni giorno ti spinge a metterti in gioco con la responsabilità di sapere che devi creare valore perché da te dipendono tante persone e le loro famiglie. È la vera sfida quotidiana di chi fa impresa».
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